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18 Novembre 2019

TUMORE AL SENO, i geni BRCA 1/2 coinvolti

Il tumore al seno e all’ovaio sono oggi considerati delle patologie multifattoriali. La maggior parte dei casi di carcinoma mammario e dell’ovaio siano “sporadici”, insorgono cioè in donne senza una significativa storia familiare . Esiste però una minoranza di casi definiti “familiari” (15%) in cui tale patologia ha una frequenza superiore a quella della popolazione generale.

Nell’ambito dei casi familiari, il 5-10% circa è considerato “ereditario” : la presenza di mutazioni a carico di geni  conferiscono un significativo rischio di sviluppo del carcinoma della mammella.

 

Quali sono i fattori di rischio associati a questa patologia?

– L’età è di sicuro il principale fattore di rischio: è dimostrato che questa patologia viene diagnosticata   di  rado prima dei 50 anni
Lobesità (con una dieta troppo ricca di calorie e grassi) e il diabete possono favorire l’insorgenza del    tumore al seno che è due volte più comune nelle donne in sovrappeso
Il fumo di sigaretta
Gli ormoni, e in particolare gli estrogeni, hanno un ruolo fondamentale nel determinare il rischio di        tumore
L’esposizione ad inquinanti ambientali può causare mutazioni al DNA e favorire lo sviluppo del     tumore

 

Geni ed Ereditarietà del tumore

Al momento si identificano due geni principali responsabili di suscettibilità:

=> gene BRCA1, localizzato sul cromosoma 17
=> gene BRCA2, localizzato sul cromosoma 13

Tali geni definiti BRCA ( BR per breast = seno e CA per cancer = cancro) controllano la proliferazione cellulare ed il riparo del DNA. Agiscono perciò da freno sulla moltiplicazione incontrollata delle cellule anomale che possono causare la comparsa di tumori. Per questo motivo sono chiamati geni onco-soppressori.

La loro funzione ha effetto soprattutto su seno ed ovaio. Mutazioni a carico di questi geni possono indurre la produzione di una proteina anomala e la perdita del loro ruolo essenziale di onco-soppressore.

 

Indagini genetiche e prevenzione

Le motivazioni per richiedere un indagini genetiche per la predisposizione al tumore al seno e ovarico possono essere diverse. In cima alla lista c’è il desiderio di conoscere l’entità del rischio per sé e per i propri figli.

L’analisi della storia familiare è fondamentale per cogliere le situazioni di rischio di una possibile mutazione in uno dei due geni. Esistono dei criteri minimi per l’esecuzione del test genetico BRCA1 e BRCA2 e questi devono essere valutati con un esperto.

 

Consulenza Genetica, quando e perché richiedere il test genetico

La complessità connessa all’interpretazione dei risultati, secondo le linee guida nazionali ed internazionali in materia di test genetici, suggerisce di proporre il test nell’ambito di un percorso di consulenza genetica.

La consulenza genetica è volta a:

=> identificare il paziente/familiare a rischio e informarlo sulla possibile ereditarietà del quadro   patologico

=> indicare la probabilità di sviluppare e di trasmettere la malattia

=> comprendere le basi genetiche della malattia e il rischio di ricorrenza nei parenti

=> offrire ai membri già affetti o a rischio della famiglia il  test genetico per una diagnosi clinica di predisposizione al fine di individuare i soggetti a rischio genetico aumentato

=> proporre ai membri affetti o a rischio della famiglia un programma di follow-up multidisciplinare per diagnosi precoci delle neoplasie attese, opzioni disponibili per la riduzione del rischio, eventuali interventi terapeutici specifici in caso di malattia.

 

Il laboratorio fornisce anche un servizio di consulenza genetica, per maggiori informazioni chiedi qui

 

Al termine della consulenza genetica un referto firmato dal Genetista mostra i dati anamnestici personali e familiari rilevanti, la valutazione del rischio di predisposizione, l’eventuale risultato e interpretazione delle analisi genetiche eseguite, la stima del rischio genetico oncologico.

Alla luce del risultato dell’analisi genetica e della sua interpretazione, viene quindi formulato uno specifico rischio oncologico che permette al Clinico di indicare il corretto percorso terapeutico da seguire.

 

Come si esegue l’analisi genetica?

Si richiede un prelievo per un campione di sangue venoso.

Dalle cellule del sangue si estrae il DNA per la ricerca delle varianti in esame.

Non è necessario il digiuno prima del prelievo.

Cerca il laboratorio più vicino a te

Quali risultati può dare?

È  importante che i risultati dell’esame siano mostrati al medico specialista che li ha prescritti oppure al medico di medicina generale (medico di famiglia) che provvederà ad inviarli allo specialista se necessario.

=> Un test genetico POSITIVO non significa malattia sicura

Un test positivo indica che vi è una predisposizione genetica che, da sola, non è sufficiente per dare origine a un tumore  (perché insorga un tumore devono intervenire anche altri fattori di tipo individuale e ambientale).

La positività del test rende più consapevoli della propria suscettibilità di sviluppare un tumore al seno o ovarico e consente di partecipare più attivamente alle decisioni inerenti la propria salute.

=> Un test genetico NEGATIVO non esclude del tutto la possibilità di sviluppare un tumore

Se si appartiene ad una famiglia in cui è già stata identificata una specifica mutazione di BRCA1 e BRCA2, il test negativo indica che non si è ereditata questa alterazione e quindi non si ha un aumentato rischio di sviluppare un tumore.

Tuttavia questo non esclude la possibilità di sviluppare un tumore del seno o dell’ovaio.

Infatti una donna non portatrice di alterazione BRCA1 e BRCA2 ha lo stesso rischio della popolazione generale di incorrere nel tumore al seno o ovarico.

 

Approfondimenti a cura della Dr.ssa Daria MOCELLIN

18 Novembre 2019

Cos’è l’Alzheimer?

Sentiamo spesso dire che la nostra aspettativa di vita si allunga, in misura maggiore in Italia rispetto ad altri paesi europei. Di certo possiamo esserne contenti, anche se aumentano gli inconvenienti legati soprattutto a patologie croniche quali il diabete o l’ipertensione.

Aumentano anche i problemi a carico del nostro organo più nobile: il cervello.

Esso è sottoposto infatti agli stessi processi di naturale invecchiamento – principalmente attraverso processi di ossidazione – con effetti che vanno a ledere la lucidità dei ragionamenti, la memoria, la stessa autonomia personale.

Il morbo di  Alzheimer o demenza senile di tipo Alzheimer: una delle forme di demenza degenerativa più conosciute

L’esordio avviene per lo più in età presenile (oltre i 65 anni, salvo possibili casi in epoca precedente) e il sintomo precoce più comune è la difficoltà a ricordare eventi recenti.  La velocità di progressione può variare, ma l’aspettativa media di vita dopo la diagnosi è dai tre ai nove anni.

La causa e la progressione della malattia di Alzheimer sono ancora poco chiari. La ricerca indica che la malattia è strettamente associata a placche amiloidi e ammassi neurofibrillari. Queste si riscontrano nel cervello delle persone affette anche se la causa prima di tale degenerazione non è nota.

Con il progredire della malattia e l’avanzare del tempo i sintomi divengono sempre più invalidanti. La persona colpita tende ad isolarsi dalla società e dalla famiglia e nel tempo perde le capacità mentali di base.

Diagnosi della malattia

Una diagnosi probabile è basata sulla progressione della malattia: test cognitivi  e indagini di diagnostica per immagini, oltre agli esami del sangue per escludere altre possibili cause.
In particolare di recente è stato diffusa l’informazione riguardo l’esistenza di un esame del sangue in grado di predire il manifestarsi della malattia.

Il test C4D

Il test C4D (detto anche Rame non-ceruloplasminico) è in grado di  valutare, tramite un semplice prelievo del sangue, i livelli di rame “libero” presenti nell’organismo. Questi  vengono correlati da diversi anni allo sviluppo della malattia di Alzheimer o più in generale all’avanzare del declino cognitivo.

Il rame “libero” presente nel sangue, corrisponde a quella quota di rame non legato alla proteina che normalmente lo trasporta, la ceruloplasmina (rame Non-Ceruloplasminico)  che potrebbe indurre stress ossidativo e causare danni irreparabili al cervello.

Livelli eccessivi di questo tipo di rame sono tossici e aumentano il rischio di ammalarsi di Alzheimer.

Se il risultato del test C4D  rientra negli intervalli di riferimento dei valori normali della popolazione, il test è  da considerarsi negativo.

Se il valore è al di fuori dell’intervallo di normalità, il test C4D è positivo: il soggetto presenta un incremento della frazione libera del rame presente in circolo.

In caso di test positivo sarà necessario mostrare il test al proprio medico curante, per la strategia più appropriata. Il fine è ridurre il rame presente nel sangue e diminuirne la tossicità con diete a basso contenuto di rame, integratori alimentari etc. o attraverso l’adozione di uno stile di vita sano che contrasti la comparsa della malattia.

Il SAGE test

Esiste un altro test per determinare in maniera precoce la presenza della malattia dell’Alzheimer o di una demenza cognitiva che non richiede prelievo del sangue.
Si tratta del  SAGE test  -Self-Administered Gerocognitive Examination – ovvero esame cognitivo geriatrico auto-amministrato, messo a punto dall’Università dell’Ohio.

Il test è tradotto in diverse lingue, si può scaricare sul proprio computer per stamparlo e la sua compilazione richiede pochi minuti. Il test è inoltre presente in quattro diverse versioni perfettamente complementari . E’ infatti indifferente quale si sceglie ai fini dell’esito del test.

Alzheimer: test on line 1

Alzheimer: test on line 2

Alzheimer: test on line 3

Alzheimer: test on line 4

I risultati dello studio sono pubblicati dal Journal of Neuropsychiatry and Clinical Neurosciences . Il test è stato messo a punto su 1047 partecipanti, scelti tra persone con più di 50 anni e da diversi contesti (centri per anziani, case di riposo etc).

La ricerca ha evidenziato che l’80 per cento di coloro che hanno lievi problemi cognitivi, diagnosticati con altre tecniche, vengono individuati anche dal SAGE, mentre il 95 per cento di coloro che non hanno problemi ottengono un punteggio normale nel test.

I medici statunitensi ideatori del SAGE sono convinti che condividere i risultati del test con il proprio medico aiuti ad individuare la patologia o altre forme di demenza.

ATTENZIONE:

Ognuno di questi test deve essere sottoposto all’attenta valutazione del proprio medico curante.

Sottoporsi periodicamente al test aiuta dunque il medico a individuare i sintomi e intervenire prontamente con la terapia adeguata.

Prevenzione

Alcuni studiosi hanno dimostrato che l’adozione di alcuni comportamenti può frenare la comparsa del declino cognitivo in molti casi, ancor prima dell’assunzione dei farmaci.

                                                                 Gli effetti protettivi  dell’esercizio fisico e dell’attività intellettuale rispetto alla demenza senile

Una combinazione di esercizio fisico e attività mentale, svolti in maniera costante per circa 3 mesi, migliora le performance cerebrali dei soggetti osservati (pazienti inattivi con un certo declino intellettuale). I ricercatori hanno osservato anziani ultrasettantenni divisi in quattro diversi gruppi.

Il primo svolgeva sia attività mentale ( lavoro al computer) sia esercizio fisico aerobico;
il secondo svolgeva attività mentale, ma non esercizio fisico;
il terzo solo esercizio fisico intenso;
l’ultimo gruppo non svolgeva nessuna delle due attività.

E’ stato osservato che sia l’esercizio fisico sia l’attività mentale producono un aumento della funzione cognitiva e che la quantità e la frequenza dell’attività sono più importanti del tipo di attività svolta.
Gli autori hanno dimostrato che stimolare l’attività, fisica o mentale, può migliorare le capacità cognitive in sole 12 settimane, anche nei soggetti più anziani che danno segno di difficoltà cognitive.

Non resta che provare.

18 Novembre 2019

BREATH TEST AL LATTOSIO : cos’è e perché farlo.

Il Breath Test – dall’inglese Test del Respiro – è un esame non invasivo. Contribuisce a diagnosticare con efficacia la presenza di  intolleranze alimentari e di sindromi da mal assorbimento di alcuni nutrienti introdotti con la dieta.

Una delle intolleranze più comuni nella popolazione è proprio l’INTOLLERANZA AL LATTOSIO.

 


A COSA E’ DOVUTA L’INTOLLERANZA AL LATTOSIO?

Il lattosio è uno zucchero che, per poter essere assorbito a livello intestinale deve essere prima scisso da un enzima: la lattasi, prodotta a livello intestinale.

L’enzima lattasi ha infatti il compito di scindere il lattosio nelle sue componenti più semplici – glucosio e galattosio – più facilmente assimilabili.

Tuttavia, in alcuni casi, la quantità di lattasi non è sufficiente per scindere tutto il lattosio introdotto con l’alimentazione. Perciò il lattosio ingerito raggiunge il tratto finale dell’apparato digerente – il colon -dove intervengono i batteri.

La flora microbica intestinale fermenta il lattosio con la produzione di gas – idrogeno, metano ed anidride carbonica –  e rilascia delle tossine che rimangono in circolo. Queste raggiungono altri organi e tessuti, in alcuni casi con conseguenze negative sull’intero organismo.

Il deficit di lattasi combinato con l’azione dei batteri nel colon può perciò portare a vari gradi di intolleranza al lattosio, con sintomi più o meno specifici.

 

I SINTOMI DELL’INTOLLERANZA AL LATTOSIO:  SICURO DI CONOSCERLI TUTTI?

L’intolleranza al lattosio è un disturbo assai diffuso, caratterizzato da fastidi molto comuni a seguito dell’ingestione di latte e derivati.

Tra i principali sintomi rientrano:

– Gonfiore addominale
– Diarrea
– Presenza di gas intestinale
– Dolore addominale e crampi
– Sensazione di pienezza
– Gorgoglio intestinale

Altri sintomi possono però accompagnare l’intolleranza al lattosio, complicando la diagnosi. Questi sintomi – detti aspecifici – sono infatti associati anche ad altre malattie come celiachiarettocolite ulcerosa e la sindrome del colon irritabile :

– Mal di testa
– Irritabilità
– Affaticamento
– Diminuzione delle capacità uditive
– Allergie
– Dolore muscolare e articolare
– Tachicardia

Quest’ultimi sono sintomi meno comuni e possono manifestarsi con diversa entità o non manifestarsi affatto in un soggetto intollerante. Dipendono infatti dalla risposta individuale alle tossine rilasciate dai batteri che fermentano il lattosio.

Come fare allora per capire se e quando siamo intolleranti al lattosio? Il Breath Test fornisce delle valide risposte dopo un esame assolutamente non invasivo.

I nostri laboratori sono a tua disposizione per questo tipo di esame, cerca quello più vicino a te.


QUAL’E’ IL PRINCIPIO DEL TEST E COME SI ESEGUE?

Il Breath Test dura 4 ore e consente di diagnosticare con certezza la possibile intolleranza al lattosio del paziente che si sottopone all’esame. E’ importante però seguire con scrupolo la preparazione al test.

Il test si basa sull’analisi dell’aria espirata dal paziente dopo specifici intervalli di tempo.

I batteri fermentanti il lattosio sono infatti in grado di rilasciare dei gas quali idrogeno, metano ed anidride carbonica. Questi vengono riassorbiti in parte dalla mucosa del colon, trasportati dal sangue venoso sino agli alveoli polmonari ed eliminati con la respirazione.

All’arrivo in laboratorio viene quindi raccolta l’aria espirata dal paziente, a digiuno (tempo zero).

A seguire vengono somministrati 20-25 grammi di lattosio (15 in caso di pazienti pediatrici) che corrispondono a 400-500 ml di latte. Viene quindi prelevato l’espirato del paziente ad intervalli di tempo di mezz’ora l’uno dall’altro , perciò dopo 30-60-90-120-180 minuti dall’ingestione del lattosio.

Il test viene considerato POSITIVO quando nell’aria espirata si registra un picco di idrogeno superiore rispetto ai valori di base, rilevati attraverso il primo test al momento di arrivo in laboratorio. In base all’ampiezza di tale picco, l’intolleranza al lattosio potrà essere classificata in lieve, grave e moderata.

Il picco invece non si registra nel soggetto che digerisce senza problemi il lattosio.

IMPORTANTE:

La sintomatologia è dose-dipendente, quindi maggiore è la quantità di lattosio ingerita, più evidenti sono i sintomi.

Inoltre, in caso di diagnosi di intolleranza al lattosio non è sempre necessario eliminare i prodotti che lo contengono, a volte è possibile individuare la quantità di lattosio che può essere tollerata senza scatenare sintomi.

In ogni caso, segui le indicazioni del tuo medico di fiducia o del professionista in nutrizione che saprà indicarti il percorso più adatto a te.

Per altre informazioni sull’argomento o per i tuoi quesiti, contattaci qui
Il nostro personale è a tua disposizione per prenotare il Breath Test, cerca il laboratorio più vicino a te.

Fonti sitografiche e bibliografiche:

18 Novembre 2019

Il Pap test (da Papanicolau, che per primo ha standardizzato la procedura con la relativa colorazione) è un esame citologico cervico-vaginale. Si esegue esaminando le cellule prelevate ad una donna a livello vaginale e della cervice uterina al microscopio. Le cellule sono depositate su un vetrino (“strisciate”, da cui striscio cervico-vaginale) e colorate per mettere in evidenza le loro caratteristiche morfologiche.

Il pap test trova applicazione nella prevenzione delle patologie tumorali della cervice uterina, quasi esclusivamente indotte da infezioni del virus del Papilloma umano (HPV) che si trasmette sessualmente. Il test, eseguito ogni due o tre anni, permette di cogliere le eventuali modificazioni cellulari in uno stadio molto precoce, in modo da attuare la terapia in tempi rapidi.

Da alcuni anni esiste un’alternativa al classico striscio cellulare su vetrino, più sicura, con una quasi totale garanzia di poter gestire un reperto di cellule adeguato. Inoltre, questa opzione permette  di eseguire altri test di secondo livello sullo stesso campione.

Il campione, raccolto su un supporto liquido definito ThinPrep ©, permette un maggiore trasferimento di cellule prelevate e una migliore qualità delle stesse perché non influenzate dalla presenza di batteri o residui di sangue (maggior percentuale di campioni adeguati). Si aumenta così la sensibilità rispetto a forme  di modificazioni cellulari anche molto precoci.

In poche parole è un pap test più sicuro, affidabile e tecnologicamente più evoluto.

Ma i vantaggi non si fermano a questo! Un esito che rileva precocemente la presenza di modificazioni della morfologia cellulare (= displasie, di grado basso o alto, fino alle neoplasie propriamente dette) necessita di approfondimenti diagnostici, tra i quali l’eventuale individuazione della presenza dell’HPV attraverso la ricerca dei suoi acidi nucleici (DNA). Questo test di secondo livello può essere agevolmente eseguito sulla parte liquida del campione da ThinPrep © evitando un secondo prelievo.

Informati e prenota il prelievo citologico su ThinPrep © . Contatta i nostri centri attraverso questo link.

Fabio La Grua – Biologo

18 Novembre 2019

Cos’è la CISTITE?

La cistite è un’infiammazione della vescica, provocata per la maggior parte dei casi da infezioni batteriche, il cui principale responsabile è l’Escherichia coli. 

 

 

 

 

 

 

Chi ne è colpito?

Spesso la cistite tende a presentarsi più di una volta nel corso dell’anno, soprattutto se non viene adeguatamente trattata, e ad esserne colpiti sono adulti e bambini, uomini e donne. In particolare, la cistite è una condizione molto frequente  nelle donne in età fertile sia per via delle caratteristiche anatomiche del sesso femminile, che per l’influenza di particolari fattori ormonali.

Secondo le Linee Guida SIU 2011 si stima che “il 25-35% delle donne di età compresa tra i 20 e i 40 anni abbia manifestato almeno un episodio di cistite nel corso della sua vita e circa un quarto di queste svilupperà un’infezione ricorrente entro 6-12 mesi”.

I sintomi della cistite sono principalmente:

  • necessità di urinare spesso e difficoltà a svuotare la vescica;
  • bruciore o dolore durante la minzione;
  • sensazione di vescica pesante;
  • urine torbide, a volte maleodoranti;
  • presenza talvolta di sangue o pus nelle urine.

Le cause della cistite possono essere differenti:

  • Cause Infettive: presenza di batteri (quali ad esempio l’ Escherichia coli, ma non solo);
  • Cause infiammatorie: presenza di cristalli nelle urine, eccessiva acidità delle urine, cibi o bevande irritanti;
  • Post-coitale: questa forma può presentarsi a distanza di 24-72 ore dal rapporto sessuale. Traumi meccanici durante il rapporto provocano l’insorgenza di microlesioni a livello della vagina attraverso le quali possono insinuarsi i batteri. Questi ultimi invadono l’uretra e raggiungono la vescica, provocando la cistite.

Sintomi simili alla cistite si hanno anche in assenza di infiammazioni della vescica e sono dovuti ad altre condizioni come la vulvodinia, la vestibolodinia, la neuropatia pelvica, la contrattura della muscolatura pelvica o la cistite interstiziale. In questo caso si parla di “false cistiti”.

La diagnosi:

La diagnosi della cistite si basa su un esame di laboratorio molto semplice: l’esame colturale dell’urina (urinocoltura), meglio se accompagnato dall’esame chimico-fisico e microscopico delle urine (vedi modalità di raccolta: come prepararsi agli esami più comuni). L’urinocoltura evidenzia la crescita batterica, mentre il secondo permette di verificare la presenza dei leucociti nel sedimento, in modo da escludere una cattiva conservazione o una contaminazione del campione di urine.

In caso di urinocoltura positiva (crescita di numerose colonie batteriche sul terreno di coltura), su prescrizione del tuo medico, si esegue l’identificazione del batterio responsabile dell’infezione e il saggio degli antibiotici più efficaci per combatterlo (antibiogramma).

Novità: una App per il tuo “diario minzionale”

La cistite rappresenta un problema dal punto di vista clinico, sanitario ed anche psicologico per la sintomatologia spesso invalidante ad essa correlata. Per questo motivo, riconoscere immediatamente i sintomi può essere un vantaggio per il paziente.

La tecnologia digitale ci viene incontro anche in questo caso. Tutte le informazioni riguardo le caratteristiche e i sintomi dei disturbi minzionali del paziente potranno essere condivise con il proprio medico che sarà in grado di elaborare la terapia più adeguata caso per caso, cercando i rimedi più adatti. Un vero e proprio diario utile sia all’inizio, per verificare l’entità del disturbo, che in seguito, una volta iniziata la terapia, per valutare i benefici e i miglioramenti ottenuti.

Il tutto a portata di smartphone!

UroNote2.0 è stato realizzato con il patrocinio della Società italiana di urodinamica in collaborazione con IBSA.

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App per iOS

 

Link utili:

Potrai trovare altre utili informazioni riguardanti la Cistite e le problematiche ad essa correlate qui.

18 Novembre 2019

La carenza di Vitamina D può essere un problema importante per la propria salute e riconoscerne i sintomi non è sempre così semplice.

 

 

 

 

 

 

 

Cos’è la VITAMINA D?

La vitamina D, o vitamina del sole”, è un pro-ormone con delle caratteristiche strutturali simili agli ormoni steroidi. Sintetizziamo la Vitamina D grazie all’esposizione della nostra pelle al sole, mentre in minima parte possiamo assumerla con la dieta. La vitamina non è attiva come tale, ma solo dopo “attivazione” nella forma di suoi metaboliti sintetizzati da fegato e reni, uno dei quali è un ormone biologicamente attivo.

La principale funzione fisiologica della vitamina D è quella di facilitare l’assorbimento intestinale del calcio, ma riveste anche altri importanti ruoli nella fisiologia umana.

Una grave carenza di vitamina D determina il rachitismo nei bambini o l’osteomalacia (patologia che determina una mancata mineralizzazione ossea) negli adulti.

Un deficit meno importante potrebbe tuttavia avere conseguenze sulla salute meno gravi delle precedenti, con sintomi lievi e per questo spesso ignorati.

Quando si è carenti di Vitamina D?

Una carenza di vitamina D può verificarsi per diverse condizioni, ad esempio se non viene adeguatamente introdotta con la dieta, se l’esposizione alla luce solare è limitata (soprattutto nei mesi invernali), in alcune patologie che coinvolgono il rene o un insufficiente assorbimento intestinale della Vitamina D.

In particolare, diete carenti di vitamina D sono associate ad allergia al latte, intolleranza al lattosio, ovo vegetarianismo e veganismo.

Le regole D’oro per la perfetta esposizione al sole:

La semplice esposizione al sole non basta!

Infatti, una copertura nuvolosa completa o la foschia dovuta a grave a grave inquinamento atmosferico, l’esposizione al sole attraverso le finestre (quindi il vetro), l’utilizzo di creme solari con fattore di protezione solare (SPF) di 8 o più sembrano bloccare i raggi UV che producono la Vitamina D.

Parola ai ricercatori

Secondo alcuni ricercatori, infatti, per una sufficiente produzione di vitamina D sarebbe necessaria l’esposizione al sole del viso, delle braccia, delle gambe o della schiena senza protezione solare, per circa 15-30 minuti tra le ore 10 e le ore 15 per almeno due volte alla settimana.

Cosa si intende per carenza di Vitamina D?

Per valutare la concentrazione della nostra Vitamina D si raccomanda di dosare i livelli ematici di 25 (OH) D attraverso un semplice esame del sangue (qui trovi maggiori informazioni su come prepararti al prelievo) , si parla di:

      CARENZA (o deficit) quando i livelli risultano < 20 ng/ml

INSUFFICIENZA quando i livelli sono compresi tra 20 e 30 ng/ml

  SUFFICIENZA per valori > 30 ng/ml

Chi è maggiormente a rischio?

  • Popolazione anziana (> 65 anni), di ambo i sessi
  • Soggetti obesi
  • Soggetti con limitata esposizione al sole
  • Soggetti con pelle scura
  • Soggetti con malassorbimento dei grassi
  • Soggetti con magrezza spiccata e/o disturbi dell’alimentazione (ad esempio anoressia)
  • Soggetti con aumentate richieste di vitamina D (gravidanza, allattamento)
  • Soggetti in trattamento con farmaci o con patologie in atto che interferiscono con il metabolismo della vitamina D
  • Soggetti con patologie dermatologiche estese (ad esempio psoriasi, dermatite atopica, vitiligine)
  • Soggetti con diminuita sintesi delle forme attive della vitamina D  (insufficienza renale cronica, grave insufficienza epatica)
  • Soggetti con osteoporosi od osteomalacia note, oppure con frequenti fratture spontanee
  • Soggetti con storia familiare di fratture da fragilità ossea

(1)

Gli individui con carenza di Vitamina D dovrebbero rivolgersi al proprio medico che, se lo riterrà opportuno, potrà consigliare di aggiungere buone fonti di vitamina D alla propria dieta o consigliare una integrazione farmacologica per raggiungere i livelli sierici adeguati .

 

I sintomi, spesso trascurati, di una carenza di Vitamina D

La Vitamina D influenza molte funzioni nel nostro organismo, poiché è implicata nei meccanismi che presiedono l’infiammazione, l’immunità e il metabolismo dei neurotrasmettitori ed è perciò importante averne un’adeguata dose in circolo.

Tra i sintomi che potrebbero far pensare alla carenza di Vitamina D ve ne sono alcuni che tendono spesso ad essere trascurati, perché comuni a molte altre condizioni, ad esempio:

 

  • Debolezza Muscolare
  • Dolore alle ossa
  • Frequente Stanchezza
  • Sudore, in particolare alla testa
  • Astenia e riduzione del tono dell’umore: se ci si sente spesso stanchi, deboli e  depressi è probabile che si abbia una carenza di vitamina D
  • Irritabilità e nervosismo
  • Sistema immunitario debole: la Vitamina D si è dimostrata in grado di modulare la risposta immunitaria sia adattativa che innata. Una carenza di questa vitamina è stata associata ad un possibile incremento di patologie autoimmuni e alla maggiore suscettibilità alle infezioni (2)
  • Frequenti episodi di emicrania: un recente studio su una popolazione di origine asiatica ha dimostrato la possibile correlazione tra frequenti episodi mensili di emicrania e carenza di Vitamina D (3)
  • Perdita di capelli (4): tra le varie cause della perdita di capelli potrebbero rientrare anche le carenze nutrizionali, tra cui il deficit di vitamina D. La vitamina D svolge, infatti, un ruolo basilare nel processo della crescita dei capelli nel punto di origine del capello

 

 

 

Se hai bisogno di più informazioni su questo esame contattaci qui  o vieni a trovarci nella sede più vicina a te, saremo a tua disposizione.

 

 

 

Fonti sitografiche e bibliografiche

1. Holick MF. Vitamin D deficiency. N Engl J Med 2007;357:266-81.

2. Cynthia A.,Vitamin D and the Immune System MD,J Investig Med. 2011 Aug; 59(6): 881–886.

3. Song T-J et al. Effect of Vitamin D Deficiency on the Frequency of Headaches in Migraine. J Clin Neurol 2018;14(3):366-373

4.Emily L. G. and Rajani K. Diet and hair loss: effects of nutrient deficiency and supplement use Dermatol Pract Concept. 2017 Jan; 7(1): 1–10.

Link utili:

Vitamina D, tutto quello che avreste voluto sapere e non avete mai osato chiedere“. Pacini Editore (2015) . A cura di Maria Luisa Brandi e Raffaella Michieli

Un sito web per sapere tutto, ma proprio tutto, sulla Vitamina D